Allevare oche, la passione di Edoardo
Pubblicato da Massimilano Borgia in az. agr. Cascina Peschiera · Lunedì 30 Giu 2014
L’oca ha una carne rossa, senza grasso intramuscolare, con uno strato di grasso sotto pelle che si può facilmente separare.
A differenza del pollo, e più di anatra e tacchino, l’oca, in Piemonte, è sempre stata considerata il piatto della festa, una preparazione “eccezionale” quasi sempre impegnativa.
Invece, dall’oca si possono ricavare petti grandi come un piatto, che, affumicati, nulla hanno da invidiare allo speck; si possono fare ottimi salami e persino i prosciuttini di coscia. I petti si possono confezionare e consumare come quelli di pollo anche se hanno un costo diverso.
Scegliere di allevare oche per andare controtendenza, per riavvicinarsi alla terra con il rispetto per gli animali, è la strada intrapresa da Edoardo Bresciano, che dagli anni ’80 ha scelto di vivere nella cascina di famiglia nella campagna di Savigliano (CN), con la moglie e i suoi due figli, per allevare oche.
Edoardo è cresciuto a Torino. La sua non è stata certo una fuga dal cemento alla ricerca di un miraggio agreste e bucolico.
Ha scelto da subito di fare l’imprenditore, creando un marchio, Cascina Peschiera, per allevare e produrre carne. Ma di amore per gli animali e di passione per la terra ce ne ha comunque messa tanta.
“All’inizio ho scelto di allevare conigli – ricorda Bresciano – Poi, con le malattie che hanno fiaccato la cunicoltura in Piemonte, nel 2000 sono passato alle oche”.
L’idea era di produrre carne allevando animali forti, rustici, per sfuggire alla pratica della somministrazione degli antibiotici, puntando sulla qualità anche rinunciando ai metodi dell’allevamento industriale.
“Ormai gli allevamenti di carne, compresi quelli di polli e tacchini, sono sempre più legati alla filiera industriale. L’allevatore fa sempre più l’ingrassatore per conto terzi. L’azienda di produzione di mangimi diventa anche il fornitore dei pulcini (o dei maialini o dei coniglietti). L’allevatore è legato alla fornitura dei mangimi e spesso quella è anche la ditta che garantisce il ritiro delle carcasse per la macellazione, in pratica l’allevatore è legato all’industria. Io, invece, voglio coltivare il mio mais e il mio grano per i mangimi che voglio miscelare io e voglio decidere io come allevare e a che prezzo vendere il mio prodotto”.
E poi l’allevamento, come concepito dalla filiera industriale, è sempre più un’attività che punta al massimo profitto per un mercato che cerca per prima cosa il prezzo basso.
“Conosco molto bene gli allevamenti, sono solo delle fabbriche di carne imbottita di medicine. Faccio l’esempio dei polli: ormai in 40 giorni gli allevatori terminano il ciclo di animali che sono gracilissimi, stipati in spazi strettissimi, selezionati solo per crescere in fretta. Nemmeno si reggono in piedi perché hanno ossa fragilissime, però hanno la carne molle che va bene per il pollo arrosto. Per tenere in vita animali così fuori dalla loro natura è necessaria una continua somministrazione di farmaci. Si ammalano molto facilmente, e le epidemie si propagano in un attivo: se non fossero imbottiti di antibiotici non arriverebbero a fine ciclo. E, naturalmente, noi consumatori ci mangiamo quella carne impregnata di medicine”
L’oca è stata una scelta verso la qualità e verso il benessere animale.
“Qui in cascina avevamo due oche che giravano libere nell’aia. Le vedevo mangiare di tutto in giro, e vedevo che non si ammalavano mai. Erano forti, aggressive, indipendenti. Quando ho pensato di lasciare l’allevamento di conigli cercavo un animale che potesse essere allevato a terra, in grandi spazi, un animale di cui si potesse rispettare le esigenze proprie della sua specie, che stesse bene e producesse carne sana. Ho subito pensato alle oche”.
L’oca, dunque, è più sana (rischia solo per due o tre malattie, non le decine del pollo): è persino più resistente all’aviaria.
“Però l’oca ha esigenze vitali precise. Può essere alimentata a mangimi ma deve anche mangiare erba. Non può vivere in batteria, deve scorrazzare nei prati. Il suo ciclo è di 6 mesi, quindi non “riempie il capannone” tutto l’anno, con cicli ripetuti”.
Quello di Bresciano è un allevamento piccolo, arriva fino a un migliaio di oche. Nonostante la piccola dimensione sconta ugualmente la diffidenza da parte della burocrazia sanitaria che non vede di buon occhio gli allevamenti a terra, all’aperto. Perché nel chiuso dei capannoni si può applicare meglio il modello ospedale (degli umani) dove si utilizzano protocolli intensivi di profilassi e cura. Una delle conseguenze sono gli ostacoli a vendere le uova, che hanno ottime potenzialità soprattutto in pasticceria per la loro grande quantità di albume, ma che, deposte a terra sono più esposte alla salmonella.
Comunque, proprio per la sua rusticità e poi per le sue dimensioni, l’oca garantisce una buona resa economica.
Un’oca media arriva a pesare 6 Kg, ma può arrivare anche a 9-10 Kg. La carne che si ricava è mano del 50%, per un esemplare di 6 Kg la resa in carne è di 2,5-3 Kg. Ma se il pollo è venduto a meno di 5-6 euro al Kg, l’oca è quotata 25-30 euro al Kg (circa 12 euro se è da disossare).
Cascina Peschiera produce attraverso un proprio salumiere di fiducia, petti affumicati e salami, poi c’è l’offerta in vasetto: dal ragù allo spezzatino, passando per il patè.
“Ma il nostro patè non ha nulla a che fare con il foie gras francese. Lì le oche vengono attaccate a spistole pneumatiche che sparano nel gozzo miscele supernutrienti, per più volte al giorno. L’alimentazione è talmente spinta che, dopo un po’, il fegato non riesce più a metabolizzare gli zuccheri e inizia ad imbiancare e a ricoprirsi di grasso ammalandosi si steatosi. Arriva a pesare anche un Kg. In pratica i francesi mangiano un fegato malato che costa anche 200 euro al Kg. Il nostro patè è a base di carne, cioè di scarti muscolari di parti che non abbiamo utilizzato in altre preparazioni, poi aggiungiamo i fegatini, che hanno avuto la loro crescita fisiologica. Il nostro patè non sa di fegato ma si spalma benissimo sui crostini e non ha nulla da invidiare al foi gras francese e rispetta gli animali. E’ vero che sto parlando comunque di animali che vengono poi macellati: ma anche se io non sono vegano ci tengo al benessere dei miei animali”.
La carne di oca viene venduta on line (http://www.cascinapeschiera.it/) oppure nel punto vendita diretta in cascina.
Edoardo Bresciano è anche un personaggio del web.
Con il suo blog, sotto lo pseudonimo di “corsaro del gusto” http://www.corsaridelgusto.it/ da anni lancia le sue invettive contro la moda del gusto a due passi dalla culla di Slow Food, che ha il suo quartier generale a Brà (CN).
“La scelta di denunciare le storture del mondo da cui provengo non la rinnego. Avevo aderito con entusiasmo a Campagna Amica e ai mercati della Coldiretti che volevano fare conoscere la rivoluzione del Km zero ai consumatori; ho anche apprezzato gli sforzi di Slow Food per dare dignità ai contadini. Ma poi ho assistito a un lento affossamento di quei valori, alla nascita di lobby che sono diventate vere realtà economiche e che oggi devono soprattutto fare i conti con la necessità di mantenere apparati sempre più costosi. Ma ho qualche speranza verso il nuovo corso di Slow Food. Anche se ricordo ancora quando noi allevatori cuneesi abbiamo chiesto a Slow Food di difenderci dall’attacco mediatico che subivamo ai tempi dell’aviaria, quando sembrava che gli allevamenti a terra fossero gli untori invece che l’unico modello per un allevamento sano e rustico. Allora, lo stesso Petrini non ci aveva dato ascolto. Forse era più interessato agli allevatori del Sud Est asiatico o del Sud America che a quelli di casa sua. Sono in attesa che, da allora, abbiano il coraggio di voltare pagina e di tornare alle origini”.
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